lunedì 4 novembre 2013

Tesori nascosti - il bis!

Carissimi soci, carissimi visitatori, sabato 9 e domenica 10 novembre 2013 siete tutti invitati al prossimo evento a cui parteciperà Vivere Vermezzo!  Questa volta siamo a Rosate dove l'associazione il Punto, con il patrocinio della Fondazione per Leggere e del Comune di Rosate e con la collaborazione della biblioteca di Rosate e con Mambre ci hanno invitati a riproporre a un pubblico più esteso la mostra "Tesori Nascosti delle Nostre Terre". Dopo il successo della prima edizione, l’Associazione Vivere Vermezzo è stata invitata a riproporre, all’interno della biblioteca di Rosate, l’esposizione “Tesori nascosti delle nostre terre” con la collaborazione dell’Associazione culturale Il Punto.



In questa occasione la mostra respirerà in un contesto più ampio: il colore, i giochi di luce e i ricordi sfumati nella penombra degli acquarelli della pittrice Marianna Di Palo e dei capolavori del fotografo Claudio Zucca, accompagneranno il visitatore alla scoperta della natura e l’architettura della Pieve di Rosate.

La Pieve di Rosate, Chiesa rurale capofila di circa sedici comuni, da Gaggiano a Mendosio e da Vermezzo a Noviglio, ha origini antiche, tanto che la sua nascita potrebbe essere storicamente collocata intorno al XIV secolo ed è documentato che ha avuto un’importanza centenaria all’interno del nostro territorio. Si tratta di un territorio da riscoprire, su cui l’Associazione Il Punto sta concentrando i propri studi dal 2010 e che, in vista dell’Expo 2015, è destinato ad una valorizzazione culturale all’interno del progetto: Seguendo le voci del fiume “Traditio Fidei” : la trasmissione della fede - Da Milano alla pieve di Rosate - Le campagne lombarde come origine e fondamenta della Chiesa di oggi.

Un percorso, in cui brevi filmati sulla Pieve si inseriranno all’interno dell’esposizione artistica, caratterizzata dall’incontro tra due tipologie artistiche molto vicine tra loro, nata da un’idea del fotografo Claudio Zucca, del Nuovo Gruppo Fotografico, e della pittrice Marianna Di Palo. Un accostamento studiato, in cui l’acquerello s’ispira alla fotografia, riproducendola nella sua bellezza, ma non nella sua interezza. I soggetti ripresi sono a sfondo naturalistico e monumentale: la flora e la fauna delle campagne del Parco Agricolo sud di Milano poseranno accanto a palazzi, chiese e sfondi privilegiati, tra Vermezzo e limitrofi.

L’intento della mostra è quello di celebrare la bellezza delle ‘nostre terre’, sia dal punto di vista naturalistico, sia in senso artistico e architettonico, sia osservando il mondo con gli occhi dell’uomo che lo ha creato e che vive di ogni solco tracciato negli anni.

Orari: sabato 9 novembre dalle 15 alle 19
           domenica 10 dalle 10 alle 19
Luogo: biblioteca parrocchiale "Don Luigi Negri", Rosate (Mi) - Viale Rimembranze 30



 

domenica 6 ottobre 2013

Cari lettori, oggi vi vogliamo raccontare una storia tutta vermezzese legata alla bottega del bagatt di Vermess, tanti anni fa. La figlia del bagatt era la Zita..

L'odore del cuoio

Nel 1901 gli italiani sono chiamati a rispondere al quarto censimento generale della popolazione. Questa volta sono passati vent’anni dall’ultima consultazione demografica: nel 1891 infatti il governo per ragioni di bilancio ha rinunciato. Una piccola vermezzese viene inclusa tra gli ultimi nati del suo minuscolo comune, che da quella conta risulta avere in tutto 777 abitanti: è Anna Cairati, figlia di Teresa, la futura tabachéra di Vermezzo.
Cresce con gli altri cinque fratelli nella casa di fronte al comune, soffrirà con la famiglia la perdita nella prima guerra mondiale del fratello maggiore Giuseppe e riuscirà per pochissimi anni ad aiutare la madre in tabaccheria, perché andrà presto sposa ad un forestiero, “a vun vegnù de foeuravia”: Filippo Bognetti, di professione ciabattino, bagatt.
Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, Anna e Filippo avranno tre figli: Natalina, Zita e Domenico. La famiglia abita in una minuscola casa sulla via Umberto I°, proprio di fronte alla bella villetta del personaggio più potente in paese in quel periodo: l’Avv. Locati capo del Fascio locale.
L’abitazione dei Bognetti è costantemente impregnata del buon odore del cuoio conciato, dell’acre odore delle colle e mastici, e risuona incessantemente del battere del martelletto che conficca i chiodini (le semenze) nei tacchi e nelle suole.
Filippo è un calzolaio coi veri controfiocchi e lavora per marchi importanti in città: per Ballini confeziona stivali da ippica per nobili ed alta società che possono permetterseli, mentre per Quintè che ha un negozio di lusso in via della Spiga a Milano, confeziona calzature su misura fatte a mano.
A Vermezzo a quei tempi quasi nessuno può permettersi la spesa per le meraviglie che escono dalle sue mani, nemmeno lui che ne è l’artefice. Settimanalmente, carico di fagotti sulle spalle e calzari al collo, parte per la città per la consegna dei manufatti finiti e ritorna con le nuove commesse.
Zita, la figlioletta nata nel ’32, segue con passione il lavoro del padre. La sua primissima infanzia la vive tra la tabaccheria della nonna Teresa ed il banchetto da lavoro del papà, attività che sono uscio ad uscio sulla stessa via e si appassiona ad entrambe. Ma il destino per lei ha un diverso disegno. Dopo aver concluso le scuole elementari a due passi da casa, nell’edificio del Comune, non vuole andare ad Abbiategrasso alle scuole medie, cosa che invece i suoi fratelli Lina e Domenico fanno. Lei preferisce andare a lavorare, così si impiega nell’unica attività locale adatta ad una giovanissima ragazza: il laboratorio tessile dei Mazzola. Impara in tal modo l’uso dell’ago e delle macchine da cucire, strumenti che l’accompagneranno nel lavoro di tutta una vita: la sarta.
La famiglia Mazzola ha anche un forno, el prestìn, dove nel primissimo dopoguerra, nel 1947, assumono un nuovo garzone. E’ un ragazzo del paese, “nassù in del palazzion” (il palazzo Pozzobonelli) e di nome fa Ugo Oldrati; “gh’avevi quindes ann quand l’hoo cognossù, prima me s’eri mai incorgiuda de lu”, racconta la Zita, che da quel momento non lo lascia più, neppure quando, appena qualche anno più tardi, lui contrae una brutta malattia polmonare che lo terrà lontano da casa per molti mesi ed in cura per anni.
Zita, intanto è andata a lavorare a Milano, dove affinerà il mestiere di taglio e cucito per oltre vent’anni. Il fidanzamento con l’Ugo va avanti per molti anni fino a che, nel 1959, si sposano. Lei vestita di un bell’abito che oggi, ricorda, “avaria vorsu fall cont i mè man, ma fa nient…..” e lo sposo con le scarpe nuove su misura uscite dalle abili mani del novello suocero. Vanno ad abitare nella corte dei Vittadini, tutt’ora esistente con portone che si apre sulla Ponti Carmine, e lì restano per qualche anno, finchè il padre Filippo le propone di partecipare alla costruzione di una palazzina per tutta la famiglia sulla attuale via Kennedy, casa che diventerà la dimora di tutte le famiglie dei Bognetti per oltre cinquant’anni, e tutt’oggi.
Il vecchio papà è sempre impegnato col suo lavoro di calzolaio, cui negli anni hanno collaborato come soci altri valenti artigiani come il Giovanni Gotti, ma un brutto giorno si accorge di uno strano buco infetto all’altezza dell’ombelico. Si rivolge al medico condotto, che all’epoca era il Dott, Bonetti, il quale non sa diagnosticargli nulla di preciso. Va allora da un professore suo conoscente, “ch’el giugava semper ai cart cont lu in del tabaché”che avanza il sospetto di un tumore. La comprensibile ansia e disperazione vengono però scongiurate da un oscuro dottorino dell’ospedale di Abbiategrasso che si accorge che quella depressione ha la stessa forma di un tacco da scarpa, ed è dovuta al continuo appoggio della forma durante il suo lavoro, e lo cura per benino. “l’era una defurmaziun prufessiunal, minga nient de brutt!”ci scherza su oggi la Zita “huei, ma alura se l’erum vista brutta!”.
Nel frattempo l’Ugo ha cambiato lavoro e va a Milano a fare l’odontotecnico e con lui collaborano altri amici di Vermezzo, come il Virginio Vaiareschi mentre la Zita, stufa di viaggiare, continua la sua professione di sarta a domicilio lavorando per un atelier di Abbiategrasso e poi per una numerosa clientela locale “tra Vermezz e Zel, gh’avevi cinquanta client fiss, un lavorà de matt”, soprattutto nell’approssimarsi delle due feste patronali in luglio, quando tutte le signore pretendevano di avere l’abito nuovo da sfoggiare in processione ed al ballo serale. Lei instancabile cercava di accontentare tutte “anca quej che vegneven da mì perché la Zita l’ha fa minga pagà….”, sorride compiaciuta. Traspare dalle sue parole un grande orgoglio al pensiero di tutti i modellini che sono usciti dalle sue operose mani “el vestì pussè bell l’hoo fa de sposa per la Mariangela Ranzani, la fioeula del mournè, l’era ona meraviglia, on sogn”, e confida di averne buttato il cartamodello solo da pochissimo tempo, dopo decine di anni.
Zita e Ugo passano una lunga vita insieme, festeggiando anche le nozze d’oro fino a che, dopo lunga malattia, lui la lascerà per sempre nel 2012.
La bella chioma bianca della Zita incornicia un volto risparmiato dai segni del tempo, mentre nella sua mente il turbinare dei ricordi ha fatto riaffiorare una sensazione che pareva sopita, ed ha risentito nell’aria il profumo del cuoio.

lunedì 16 settembre 2013

Memorie dei Tesori nascosti

Cari lettori,

siamo a lunedì 16 settembre e, dopo tanto lavoro, abbiamo concluso anche la tanto attesa mostra I Tesori Nascosti delle Nostre Terre, del fotografo Claudio Zucca e della pittrice Marianna Di Palo.
Nonostante l'estate sia al capolinea, il clima che ha accompagnato l'Associazione Vivere Vermezzo, sabato 14 e domenica 15, è stato decisamente accogliente e caloroso.
L'evento è frutto di quasi sei mesi di lavoro e il successo per fortuna non è mancato: lungo il serpentone del parco Fontana di Vermezzo, nel soleggiato pomeriggio di sabato, molti i visitatori e i curiosi. Nella giornata di domenica, invece, la pioggia sembrava avere rallentato un po' il ritmo, ma non è riuscita - per fortuna - a fermare gli appassionati di arte e di cultura, giunti fin qui per scoprire qualcosa in più su questi Tesori Nascosti: come non apprezzare i tramonti e le albe sulla campagna, la Galaverna, le farfalle o il palazzo Pozzobonelli visti da scorci inediti?!

Qui qualche foto del fotografo e della pittrice:

Inoltre, è stata anche un'occasione in più per scoprire e raccontare: accanto agli acquerelli e alle fotografie, sono state protagoniste anche delle frasi tratte dai racconti del libro che Vivere Vermezzo sta scrivendo, indagando sulle emozioni vermezzesi, e che, con cadenza mensile, anche Voi lettori avete modo di leggere su questo blog.

Infine, non poteva mancare Legambiente con un documentario ad hoc contro la cementificazione che distrugge, che non potremo mai permettere che fagociti le nostre campagne, vista la distruzione dilagante in Lombardia. E noi siamo sempre pronti e presenti, qui, a difendere, a portare avanti i nostri ideali, a salvaguardare il territorio e a promuoverlo con altri eventi, a cui tutti dovranno partecipare, per condividere e scoprire insieme i Nostri Tesori.


domenica 8 settembre 2013

I nostri Tesori nascosti

Cari Vermezzesi e non, estate ormai quasi conclusa, siamo pronti ripartire dopo il periodo estivo. Vi abbiamo preparato un evento tutto ispirato alla natura, all'arte e soprattutto  al colore che le caratterizza. Si tratta della mostra fotografica e di pittura ad acquerrello di due Vermezzesi ( soprattutto per passione): il nostro mago degli scatti Claudio Zucca e la nostra pittrice Marianna Di Palo. Li conoscete? Venite a scoprirli i prossimi 14 e 15  settembre 2013, al parco Fontana di Vermezzo. Inoltre, nel pomeriggio di sabato ci terra' compagnia anche Legambiente, ospite d'onore, con la proiezione di un documentario dedicato alla salvaguardia dell'ambiente, contro la cementificazione...Qui di seguito il volantino... Vi aspettiamo a Vermezzo!


lunedì 12 agosto 2013

Siamo alla metà di agosto, l'ondata di caldo ha accarezzato anche le nostre verdeggianti campagne, ricche di granoturco ormai alto...cosa c'è di meglio di un gelato? Ecco cosa accadeva a Vermezzo, un'estate di tanti anni fa: scopritelo ne "Il gelato della Teresina"


      Erano i tempi della Belle Epoque, quel periodo di pace e relativa prosperità che dalla Francia sul finire dell’800 stava dilagando in tutta Europa e che sarebbe terminato con lo scoppio della grande guerra mondiale del 1915-18. A Vermezzo, quattro case raccolte intorno alla chiesa ed al municipio, di tutto ciò c’era solo una vaghissima traccia. 
Nel 1893, in una povera casa di fronte al municipio, nasce Francesco Cairati. La mamma Teresa ha già un paio di figli. Ancora non sa che in tutto ne avrà sei, quattro maschi e due femmine, e che nel volgere di vent’anni la sua famiglia pagherà un pesante tributo alla guerra che segnerà l’inizio del nuovo secolo. Saranno infatti tre i suoi ragazzi chiamati al fronte allo scoppio delle ostilità nel 1915. Il primogenito Giuseppe non farà più ritorno. Francesco verrà inviato sul fronte orientale e tornerà a casa dopo una lunga prigionia in Russia. Sposerà poco dopo Giuseppina Giussani originaria di Gaggiano e di mestiere farà il muratore (el magùtt), mentre la sua giovane signora andrà a servizio nella casa dell’Avv. Locati, il futuro segretario politico del Fascio a Vermezzo. La mamma verrà risarcita dallo Stato per la perdita del figlio mediante la concessione del monopolio di sali e tabacchi, e così aprirà nella sua casa la prima tabaccheria di Vermezzo, la Teresa tabachéra.

Lei si industria moltissimo per campare la famiglia: d’inverno serve caffè fatto nel bricco e d’estate mette qualche tavolino nel cortile e vende il gelato che lei stessa ha imparato a produrre. L’ingresso di quel cortile è ancora quello che si apre sull’attuale parcheggio di fronte al Comune.

Abitano tutti in quella piccola casa con annessa attività i Cairati, anche i figli sposati, fino a che i tre fratelli maschi non riescono ad acquistare un piede di case molto vecchio sulla via Umberto I° e vi si trasferiscono. Ancora oggi, dopo adeguato restauro, vi abitano la figlia Teresina,  i nipoti ed i pronipoti di Francesco. La Teresa tabachéra porta lì la sua botteguccia, nel cui retro prepara le moke di caffè per gli avventori, trincia il tabacco e confeziona toscani, sigari  e sigarette per i suoi clienti. Il lavoro si moltiplica in occasione delle adunate sotto il municipio per ascoltare la radio dagli altoparlanti posti sulla terrazza del primo piano, quando si devono ascoltare i discorsi del Duce. Dietro la bottega c’è un bel giardino interno, cui si accede da un portone sulla via di fianco al negozietto. Nel mezzo c’è un’enorme pianta di prugne che rende una bella frescura in estate. Lì sotto ci mette i tavolini per il suo ormai famoso gelato e, il giorno della festa del paese a metà luglio, serve anche l’oca arrosto per quelle famiglie che possono permettersene la spesa. La tabachéra lavorerà lì in quei pochi metri quadri, cui si aggiunge solo una camera da letto al piano superiore, fino alla sua morte, nel 1938. Francesco, intanto, ha avuto un grave incidente sul lavoro in un cantiere a Milano, resterà azzoppato e dovrà per tutta la vita camminare appoggiato ad un bastone. Dopo vent’anni di matrimonio, Francesco e Giuseppina si sono rassegnati a non avere figli ma, nel 1940, nasce Savina. Un miracolo per quei tempi, che si ripeterà cinque anni più tardi quando arriva anche Teresa, per tutti da sempre a Vermezzo la Teresina: “la mia mama l’era convinta che gh’era rivaa la menopausa, inveci s’eri mì e m’han miss el nom de la mia nona tabachéra che hoo maj cognussù”.

A nove mesi di età anche alla piccola Teresina accade un brutto incidente: cade dal letto e si procura una vastissima ferita sbattendo il viso sul pitale da notte in ferro. Il medico condotto dell’epoca, l’Amendola, si improvvisa chirurgo e sarto ricucendola tutta come meglio poteva. Per moltissimi anni Teresina soffrirà della evidente cicatrice che le sfigura il bel volto, cui solo il passare del tempo porrà rimedio: “l’Amendula l’era un bravo dottor, ma anche el temp…….”

Con la famiglia aumentata e Francesco invalido la Giuseppina, già quasi cinquantenne, continua a lavorare come domestica e, in più, lavora nell’edificio del Comune presso l’asilo nido e la scuola materna come cuoca ed inserviente, anche se la salute è alquanto malferma. La condizione della famiglia è assai modesta e, racconta la Teresina, che per tutta la sua fanciullezza il solo cibo a disposizione per lei era la minestra nella “caldarina” accanto al camino:“quand vegneva Natal in cà mia rivava nò el Bambin, vegneva la mia zia de Rusà cont i turunin e i mandarin, ma dovevi spetalla su la strada”. Teresina frequenta  tutto il ciclo scolastico fino alla quinta, poi con la bicicletta ogni giorno va a Gudo per la scuola media ma “hoo minga podù finilla, in cà gh’era bisogn de danee”,  e così va a lavorare in paese presso il laboratorio dei Mazzola, dove si confezionavano lenzuola, federe e vestiario per gli ospedali.Teresina è una ragazzina vivace, la cui mamma è spesso ricoverata per cure mediche ma, si commuove al ricordo, trova una vice mamma nella vicina di casa, Adele Lanterna. Sarà lei ad indirizzarne i passi durante l’adolescenza, a consigliarla per la futura vita di donna, ad insegnarle e passarle il lavoro da sarta, a guidarla nelle varie fasi della sua crescita e ad aiutarla sempre anche dopo sposata: “alla sua memoria restarù ligada per tutta la vita, l’è stada per mì una figura unica. Scrivell, che l’è important!”.Nel 1960 Teresina ha quindici anni, non lavora più in paese ma va a Milano tutti i giorni con la corriera “lavoravi alla Martas, fasevi la biancheria intima per i donn”. Sul pullmann conosce un bel ragazzo biondo poco più grande di lei, l’Angelo Trabucchi, che gli nasconde per molto tempo di essere di Zelo, “on butasch”. Tra i due nasce l’amore, ostacolato dal padre Francesco che ormai passa molto del suo tempo alla cooperativa. Davanti alla casa della Teresina, dove oggi sorge il palazzo con sotto i negozi  a lato del municipio, all’epoca c’erano giardini ed orti e, poco oltre, la cooperativa: “el mè papà el rivava ciucc da là, el traversava i ort e el borlava semper giò sura la ret de recinsion. Una volta el s’è finna taja sù tutt, cunscià de traa via”, ridacchia rievocando l’episodio. Francesco Cairati morirà nel 1964. Proprio in cooperativa, durante la festa da ballo di carnevale del ’65, Teresina ed Angelo si fidanzano ufficialmente e si sposeranno due anni più tardi. Dalla loro unione nasceranno Sabrina ed Enrico. Oggi l’Angelo Trabucc non c’è più, è mancato dopo breve malattia nel 2009 e resterà indimenticato a Vermezzo per le molteplici e meritorie attività cui si è dedicato per tutta la vita, un vero pilastro della comunità.  Teresina, ora, fa la nonna a tempo pieno di tre bellissimi nipoti ma, mentre termina il filo dei suoi ricordi, una lieve ombra di tristezza le passa sul viso. La vita non sempre è stata lieve con lei, come per la sua mai conosciuta ava di cui perpetua il nome: Teresa, la nonna del gelato.

martedì 18 giugno 2013

L'estate sta per bussare alla porta e il caldo incalzante la preannuncia. Oggi 18 giugno vogliamo raccontarvi un po' di quel di Vermez: cosa successe all'ombra del campanile di molte estati fa? Le cronache riportarono i fatti con scalpore. Leggete un po' questo racconto.


ALL’OMBRA DEL CAMPANILE
 
In un cortile che si affaccia sulla piazza di Zelo, accanto all’osteria, nella modesta abitazione del ciabattino ( el bagatt) Malinverni, in un giorno del 1927 nasce Jolanda. La vita a quei tempi era dura per chi doveva campare la famiglia coi proventi del proprio lavoro manuale, i denari che giravano nelle tasche di chi ricorreva al calzolaio erano talmente scarsi che era un’impresa farsi pagare. L’affitto da corrispondere al padrone di casa era uno dei problemi che toglievano il sonno alla famiglia così, quando un anno più tardi muore il sacrestano della parrocchia di Vermezzo, il capofamiglia intravede la possibilità di ottenere quel posto, abitazione gratuita compresa. La sorte lo aiuta ed i Malinverni traslocano a Vermezzo, nella casetta bassa che ancora oggi affaccia sulla piazza, all’ombra del campanile. Da quel momento il paese ha un nuovo “secrista”e Jolanda diventerà per tutti “la fioeula del secrista”, appellativo che tra gli anziani del paese è ancora usato. Sorriso coinvolgente e trascinante, voce squillante e risata contagiosa, Jolanda è una vera istituzione di Vermezzo, pilastro e memoria storica della comunità: “huej, dopu vuttantaquattr’ann che stu chi a Vermezz, podi dì che su tuttscoss, l’è vera?”, afferma ammiccando con la sua inconfondibile verve questa bella signora cui nessuno, ignorandone l’età ed il fatto che è bisnonna, assegnerebbe gli anni che indica l’anagrafe “eh, se ved che l’aria de Vermezz l’è bona!” esclama.

     Zampillano i ricordi e la mente torna alla sua infanzia, quando il paese era tutto raccolto intorno alla chiesa ed al palazzo Pozzobonelli  “je ciamevom i quater canton”, come il gioco che i bimbi ed i ragazzi facevano in piazza rincorrendosi, ed erano altrettanti i lampioni “i ciar” accesi la sera: uno vicino alla bottega da ciclista del Mainardi all’angolo dell’edificio dove ora c’è l’agenzia immobiliare, uno vicino al municipio, uno all’angolo della Ponti Carmine ed uno alla bottega del pane “la prestinera”. La piazza piccola e sterrata, delimitata da paracarri in pietra, aveva al centro il monumento ai caduti con 3 gradini alla base, e la ringhiera in ferro tutto intorno: “la mia mama ogni tant la ghe muleva denter i so quater gajinn”, ma lo stradino comunale, che amava tenere il paese pulito e lucido come una bomboniera, si arrabbiava moltissimo quando vedeva le galline salire disinvolte fin sopra la stele in pietra e forse sporcarne i nomi incisi, ed un giorno le uccise tutte col veleno: “El Vaghi, detto Galett, l’era tremend, hemm nanca podu mangiaj chi gainn là e la mia mama l’era disperada”. Racconta che ancora bimbetta, nel 1933 andava a veder piantare i tigli sulla strada che portava al ponte sul Naviglio, che diventeranno i maestosi alberi dell’attuale Viale dei Tigli:”g’hann quasi la mia età chi piant lì, la sà?”e guardava gli operai legare ogni virgulto ad un robusto ed alto paletto “per faj vegnì su bei drizz”. I bambini su quel viale lungo, diritto e sterrato organizzavano gare di corsa a chi arrivava per primo al ponte e ci giocavano” a la lippa”, tanto macchine allora ne passavano davvero di rado.

    Jolanda aiuta spesso il padre, come la sorella ed il fratello Angelino, detto Managgia e voce tonante nel coro della messa, nelle incombenze in chiesa, come suonare le campane nei giorni di festa solenne e in occasione di matrimoni. A quei tempi sul campanile c’erano cinque campane, da suonare a mano per mezzo di lunghe funi. Occorreva essere precisi ed accorti nel farlo altrimenti, ed ancora gli scappa una sonora risata al ricordo, “la và a finì cume cont la pora Paola Capelli” che un giorno chiese di potersi unire agli altri ragazzi nel tirare le corde. Solo che si dimenticò di mollare la fune e fu trascinata in alto inzuccando sul soffitto e cadendo rovinosamente a terra, tra lo sconcerto del sagrestano ed il divertimento impossibile da reprimere dei presenti.

Imm.descritt.tratta dalla Domenica del Corriere
     Molti anni più tardi, Jolanda sarà testimone di un grave incidente accaduto a tre operai venuti da fuori paese intenti a ristrutturare ed imbiancare il campanile. Si sganciarono le corde che li tenevano in sicurezza e rimasero sospesi, disperatamente aggrappati alle funi che penzolavano lungo il campanile, con la folla angosciata che da sotto li incitava a tenere duro, a resistere in attesa dei soccorsi. L’episodio verrà immortalato su un numero della Domenica del Corriere, illustrato dall’ artista De Gasperi, che fisserà in copertina i terribili e lunghissimi momenti prima dell’intervento dei pompieri, che dall’interno della torre riusciranno a trarli in salvo: “Oh mama, henn vegnù giò che gh’aveven nanca pù el so culur ‘sti pori nan”.
All’epoca della sua adolescenza, a lato della sua casa in piazza c’era l’Albergo San Pietro,  osteria e locanda con stallazzo per i corrieri a cavallo che transitavano di passaggio con le loro merci,  dove attualmente sulla Via XXIV Maggio al civico 1 c’è una strada  privata. Di fronte al Municipio, c’è sempre stato un Caffè con Sali e Tabacchi. All’epoca nel cortile del locale la domenica pomeriggio si ballava e, naturalmente, la Jolanda con le sue amiche era sempre là in prima fila “ma poeu rivava el Don Fontana, el ciapava perentori tuti i tosann e je mandava al Vesper, guai a mancà”. Don Fontana alla sua morte sarà sostituito da Don Silvestro Beneggi.

    Passato il periodo della guerra, Jolanda si fidanza col Paolino Gotti che sposerà in un freddo, umido e nebbiosissimo giorno di ottobre del 1949, “el quindes de utuber” sottolinea assorta. Vanno ad abitare in un piccolissimo locale nel palazzo Pozzobonelli, già adibito a legnaia dalla famiglia Tosi, e che loro con modica spesa riporteranno a rango di abitazione “ma senza riscaldament, cont quater mobili e nanca una finestra, ma alura andava ben inscì, serum giuvin” nota allargando un bel sorriso.
    Quattro anno dopo traslocheranno nella casa di fianco alla chiesa, attuale dimora delle famiglie Petesi, tornando così all’ombra del campanile. Lì nascerà Ivana, la loro unica figlia, che sarà l’ultimo nato a Vermezzo battezzato da Don Beneggi.

   Ritorna col pensiero a quel maledetto giorno di agosto del 1954, quando seduta fuori di casa con la piccola in fasce tra le braccia, vede arrivare davanti alla chiesa una macchina pubblica nera, da cui scendono tre uomini di cui uno resta accanto al mezzo pulendone i vetri mentre gli altri due entrano in canonica. A quell’epoca il parroco ha appena iniziato la costruzione del salone da adibire a cinema per i giovani del paese (l’attuale Oratorio Don Beneggi), appena dopo le ultime case dell’abitato in direzione della cascina Tavolera. Lì vicino c’è l’ambulatorio del medico condotto Dott. Amendola “un sant’omm verament” ed anche il laboratorio dove il  Paolino svolge il suo lavoro. Jolanda sta aspettando l’ora di apertura dell’ambulatorio e decide di incamminarsi passando prima dal marito per un saluto. Ha appena svoltato l’angolo della piazza che sente tre spari ravvicinati. Si ferma, non sa che fare, stringe forte al petto la bambina, vede il padre sagrestano correre in canonica e poco dopo uscirne sconvolto. Intanto i due che aveva visto poco prima escono correndo verso l’auto che riparte veloce. Accorre tanta gente “gh’ann sparà al pret! Hann mazzà el pret!”. gli attimi sono drammatici ed ancora oggi sono scolpiti nella sua mente in modo indelebile “g’hann sparà in de la panscia, gh’era sang in deppertutt”.

     Il filo dei suoi pensieri si riavvolge tornando indietro di qualche anno, quando era in costruzione la cooperativa. Nell’edificio del comune, al primo piano, era stato messo il bancone di mescita provvisorio, dove “in del dì g’he capitava denter anca una quaj dona”.Un giorno infatti lassù c’erano la Ginetta e la Natalina, le sue due cognate,  e c’era anche il Celeste in vena di festeggiare ed offrire da bere: “beva tì che bevi anca mì”, ride Jolanda, quando le due donne fanno per scendere la scala che le riporti nel cortile del comune “i gamb se moeven pù, eren là inciodà” perché i grappini stavano facendo il loro effetto. Ci provano, ci riprovano ma non muovono un passo. Così, piangendo come vitellini, chiedono aiuto chiamando a turno le persone che vedevano passare di sotto, ma senza volerne spiegare il motivo “oh gent! Rideven, piangeven, vuseven: l’era un cinema!”.

    L’episodio ebbe una vasta eco in paese, soprattutto tra le massaie che al lunedì, giorno per tutte dedicato al bucato, si ritrovavano anche in una trentina inginocchiate sui lavatoi della roggia Longona, dietro le case della Ponti Carmine “me piaseva tantu andà a lavà al foss, ma poeu gh’è rivà i lavatris………”
E con le lavatrici arriveranno anche le nuove case, gli appartamenti. Tra Vermezzo e Zelo, alle spalle della cascina dei Santagostino, isolato in mezzo ai campi e oggigiorno al centro di un intero quartiere, sorgerà  alla fine degli anni sessanta un alto e modernissimo palazzo, “el cinq pian”, dove molti vermezzesi andranno ad abitare lasciando le loro antiche e ormai scomode case, non più al passo coi tempi. Anche Jolanda con la famiglia si trasferisce lì dove vive ancora oggi,  lasciando per sempre l’ombra del campanile e guardando da lontano le campane, sotto le quali è trascorsa la sua meglio gioventù.

martedì 14 maggio 2013

I ringraziamenti

Dopo una bella festa...restano i ricordi
Domenica 12 maggio, i Madonnari bergamaschi, come già annunciato, sono giunti a Vermezzo, armi e bagagli. Erano in sei,  equipaggiati di gessetti colorati e molta passione per la loro arte. 
Tra le opere realizzate, l'immagine di San Carlo Borromeo in processione con il Sacro chiodo, riproduzione fedele dall'originale di G.C. Procaccini, noto esponente della pittura lombarda del '600.
Verrà solennememte affisso nella nostra chiesa durante la S. Messa celebrata il giorno della FESTA PATRONALE di SAN ZENONE, Domenica 26 MAGGIO 2013 

 
 Poi una riproduzione dalla pittrice Art Deco, Tamara Delempicka:               
                                                      
Le immancabili raffigurazioni religiose e le maternità:
Il pubblico è stato numeroso e, soprattutto nel pomeriggio, ha seguito il debutto degli "Out of time", complesso musicale che ha divertito piacevolmente...

   Piccoli gessetti crescono: i numerosi bambini al laboratorio con Giovanni.


Insomma una gran bella domenica in compagnia: l'Associazione Vivere Vermezzo ringrazia tutti i protagonisti: i Madonnari, gli "Out of time", l'artista Margrieta Jeltema che con i suoi "Ritratti fotografici" ha ripreso i volti vermezzesi, il pubblico, il Comune di Vermezzo che ci ha concesso gli spazi pubblici e gli sponsor che ci hanno sostenuti (un ringraziamento particolare è riportato a fondo pagina).

E alla prossima!