domenica 6 ottobre 2013

Cari lettori, oggi vi vogliamo raccontare una storia tutta vermezzese legata alla bottega del bagatt di Vermess, tanti anni fa. La figlia del bagatt era la Zita..

L'odore del cuoio

Nel 1901 gli italiani sono chiamati a rispondere al quarto censimento generale della popolazione. Questa volta sono passati vent’anni dall’ultima consultazione demografica: nel 1891 infatti il governo per ragioni di bilancio ha rinunciato. Una piccola vermezzese viene inclusa tra gli ultimi nati del suo minuscolo comune, che da quella conta risulta avere in tutto 777 abitanti: è Anna Cairati, figlia di Teresa, la futura tabachéra di Vermezzo.
Cresce con gli altri cinque fratelli nella casa di fronte al comune, soffrirà con la famiglia la perdita nella prima guerra mondiale del fratello maggiore Giuseppe e riuscirà per pochissimi anni ad aiutare la madre in tabaccheria, perché andrà presto sposa ad un forestiero, “a vun vegnù de foeuravia”: Filippo Bognetti, di professione ciabattino, bagatt.
Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, Anna e Filippo avranno tre figli: Natalina, Zita e Domenico. La famiglia abita in una minuscola casa sulla via Umberto I°, proprio di fronte alla bella villetta del personaggio più potente in paese in quel periodo: l’Avv. Locati capo del Fascio locale.
L’abitazione dei Bognetti è costantemente impregnata del buon odore del cuoio conciato, dell’acre odore delle colle e mastici, e risuona incessantemente del battere del martelletto che conficca i chiodini (le semenze) nei tacchi e nelle suole.
Filippo è un calzolaio coi veri controfiocchi e lavora per marchi importanti in città: per Ballini confeziona stivali da ippica per nobili ed alta società che possono permetterseli, mentre per Quintè che ha un negozio di lusso in via della Spiga a Milano, confeziona calzature su misura fatte a mano.
A Vermezzo a quei tempi quasi nessuno può permettersi la spesa per le meraviglie che escono dalle sue mani, nemmeno lui che ne è l’artefice. Settimanalmente, carico di fagotti sulle spalle e calzari al collo, parte per la città per la consegna dei manufatti finiti e ritorna con le nuove commesse.
Zita, la figlioletta nata nel ’32, segue con passione il lavoro del padre. La sua primissima infanzia la vive tra la tabaccheria della nonna Teresa ed il banchetto da lavoro del papà, attività che sono uscio ad uscio sulla stessa via e si appassiona ad entrambe. Ma il destino per lei ha un diverso disegno. Dopo aver concluso le scuole elementari a due passi da casa, nell’edificio del Comune, non vuole andare ad Abbiategrasso alle scuole medie, cosa che invece i suoi fratelli Lina e Domenico fanno. Lei preferisce andare a lavorare, così si impiega nell’unica attività locale adatta ad una giovanissima ragazza: il laboratorio tessile dei Mazzola. Impara in tal modo l’uso dell’ago e delle macchine da cucire, strumenti che l’accompagneranno nel lavoro di tutta una vita: la sarta.
La famiglia Mazzola ha anche un forno, el prestìn, dove nel primissimo dopoguerra, nel 1947, assumono un nuovo garzone. E’ un ragazzo del paese, “nassù in del palazzion” (il palazzo Pozzobonelli) e di nome fa Ugo Oldrati; “gh’avevi quindes ann quand l’hoo cognossù, prima me s’eri mai incorgiuda de lu”, racconta la Zita, che da quel momento non lo lascia più, neppure quando, appena qualche anno più tardi, lui contrae una brutta malattia polmonare che lo terrà lontano da casa per molti mesi ed in cura per anni.
Zita, intanto è andata a lavorare a Milano, dove affinerà il mestiere di taglio e cucito per oltre vent’anni. Il fidanzamento con l’Ugo va avanti per molti anni fino a che, nel 1959, si sposano. Lei vestita di un bell’abito che oggi, ricorda, “avaria vorsu fall cont i mè man, ma fa nient…..” e lo sposo con le scarpe nuove su misura uscite dalle abili mani del novello suocero. Vanno ad abitare nella corte dei Vittadini, tutt’ora esistente con portone che si apre sulla Ponti Carmine, e lì restano per qualche anno, finchè il padre Filippo le propone di partecipare alla costruzione di una palazzina per tutta la famiglia sulla attuale via Kennedy, casa che diventerà la dimora di tutte le famiglie dei Bognetti per oltre cinquant’anni, e tutt’oggi.
Il vecchio papà è sempre impegnato col suo lavoro di calzolaio, cui negli anni hanno collaborato come soci altri valenti artigiani come il Giovanni Gotti, ma un brutto giorno si accorge di uno strano buco infetto all’altezza dell’ombelico. Si rivolge al medico condotto, che all’epoca era il Dott, Bonetti, il quale non sa diagnosticargli nulla di preciso. Va allora da un professore suo conoscente, “ch’el giugava semper ai cart cont lu in del tabaché”che avanza il sospetto di un tumore. La comprensibile ansia e disperazione vengono però scongiurate da un oscuro dottorino dell’ospedale di Abbiategrasso che si accorge che quella depressione ha la stessa forma di un tacco da scarpa, ed è dovuta al continuo appoggio della forma durante il suo lavoro, e lo cura per benino. “l’era una defurmaziun prufessiunal, minga nient de brutt!”ci scherza su oggi la Zita “huei, ma alura se l’erum vista brutta!”.
Nel frattempo l’Ugo ha cambiato lavoro e va a Milano a fare l’odontotecnico e con lui collaborano altri amici di Vermezzo, come il Virginio Vaiareschi mentre la Zita, stufa di viaggiare, continua la sua professione di sarta a domicilio lavorando per un atelier di Abbiategrasso e poi per una numerosa clientela locale “tra Vermezz e Zel, gh’avevi cinquanta client fiss, un lavorà de matt”, soprattutto nell’approssimarsi delle due feste patronali in luglio, quando tutte le signore pretendevano di avere l’abito nuovo da sfoggiare in processione ed al ballo serale. Lei instancabile cercava di accontentare tutte “anca quej che vegneven da mì perché la Zita l’ha fa minga pagà….”, sorride compiaciuta. Traspare dalle sue parole un grande orgoglio al pensiero di tutti i modellini che sono usciti dalle sue operose mani “el vestì pussè bell l’hoo fa de sposa per la Mariangela Ranzani, la fioeula del mournè, l’era ona meraviglia, on sogn”, e confida di averne buttato il cartamodello solo da pochissimo tempo, dopo decine di anni.
Zita e Ugo passano una lunga vita insieme, festeggiando anche le nozze d’oro fino a che, dopo lunga malattia, lui la lascerà per sempre nel 2012.
La bella chioma bianca della Zita incornicia un volto risparmiato dai segni del tempo, mentre nella sua mente il turbinare dei ricordi ha fatto riaffiorare una sensazione che pareva sopita, ed ha risentito nell’aria il profumo del cuoio.

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