ALL’OMBRA DEL CAMPANILE
In un cortile che si affaccia
sulla piazza di Zelo, accanto all’osteria, nella modesta abitazione del
ciabattino ( el bagatt) Malinverni,
in un giorno del 1927 nasce Jolanda. La vita a quei tempi era dura per chi
doveva campare la famiglia coi proventi del proprio lavoro manuale, i denari
che giravano nelle tasche di chi ricorreva al calzolaio erano talmente scarsi
che era un’impresa farsi pagare. L’affitto da corrispondere al padrone di casa
era uno dei problemi che toglievano il sonno alla famiglia così, quando un anno
più tardi muore il sacrestano della parrocchia di Vermezzo, il capofamiglia
intravede la possibilità di ottenere quel posto, abitazione gratuita compresa.
La sorte lo aiuta ed i Malinverni traslocano a Vermezzo, nella casetta bassa
che ancora oggi affaccia sulla piazza, all’ombra del campanile. Da quel momento
il paese ha un nuovo “secrista”e
Jolanda diventerà per tutti “la fioeula
del secrista”, appellativo che tra gli anziani del paese è ancora usato. Sorriso coinvolgente e
trascinante, voce squillante e risata contagiosa, Jolanda è una vera
istituzione di Vermezzo, pilastro e memoria storica della comunità: “huej, dopu vuttantaquattr’ann che stu chi
a Vermezz, podi dì che su tuttscoss, l’è
vera?”, afferma ammiccando con
la sua inconfondibile verve questa bella signora cui nessuno, ignorandone l’età
ed il fatto che è bisnonna, assegnerebbe gli anni che indica l’anagrafe “eh, se ved che l’aria de Vermezz l’è bona!”
esclama.
Zampillano i ricordi e la mente
torna alla sua infanzia, quando il paese era tutto raccolto intorno alla chiesa
ed al palazzo Pozzobonelli “je ciamevom i quater canton”, come il
gioco che i bimbi ed i ragazzi facevano in piazza rincorrendosi, ed erano
altrettanti i lampioni “i ciar”
accesi la sera: uno vicino alla bottega da ciclista del Mainardi all’angolo
dell’edificio dove ora c’è l’agenzia immobiliare, uno vicino al municipio, uno
all’angolo della Ponti Carmine ed uno alla bottega del pane “la prestinera”. La piazza piccola e sterrata,
delimitata da paracarri in pietra, aveva al centro il monumento ai caduti con 3
gradini alla base, e la ringhiera in ferro tutto intorno: “la mia mama ogni tant la ghe muleva denter i so quater gajinn”, ma
lo stradino comunale, che amava tenere il paese pulito e lucido come una
bomboniera, si arrabbiava moltissimo quando vedeva le galline salire disinvolte
fin sopra la stele in pietra e forse sporcarne i nomi incisi, ed un giorno le
uccise tutte col veleno: “El Vaghi, detto
Galett, l’era tremend, hemm nanca podu mangiaj chi gainn là e la mia mama l’era
disperada”. Racconta che ancora bimbetta, nel 1933 andava a veder piantare
i tigli sulla strada che portava al ponte sul Naviglio, che diventeranno i
maestosi alberi dell’attuale Viale dei Tigli:”g’hann
quasi la mia età chi piant lì, la sà?”e guardava gli operai legare ogni
virgulto ad un robusto ed alto paletto “per
faj vegnì su bei drizz”. I bambini su quel viale lungo, diritto e sterrato organizzavano
gare di corsa a chi arrivava per primo al ponte e ci giocavano” a la lippa”, tanto macchine allora ne
passavano davvero di rado.
Jolanda aiuta spesso il padre,
come la sorella ed il fratello Angelino, detto Managgia e voce tonante nel coro
della messa, nelle incombenze in chiesa, come suonare le campane nei giorni di
festa solenne e in occasione di matrimoni. A quei tempi sul campanile c’erano
cinque campane, da suonare a mano per mezzo di lunghe funi. Occorreva essere
precisi ed accorti nel farlo altrimenti, ed ancora gli scappa una sonora risata
al ricordo, “la và a finì cume cont la pora Paola Capelli”
che un giorno chiese di potersi unire agli altri ragazzi nel tirare le
corde. Solo che si dimenticò di mollare la fune e fu trascinata in alto
inzuccando sul soffitto e cadendo rovinosamente a terra, tra lo sconcerto del
sagrestano ed il divertimento impossibile da reprimere dei presenti.
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Imm.descritt.tratta dalla Domenica del Corriere |
Molti anni più tardi, Jolanda
sarà testimone di un grave incidente accaduto a tre operai venuti da fuori
paese intenti a ristrutturare ed imbiancare il campanile. Si sganciarono le corde
che li tenevano in sicurezza e rimasero sospesi, disperatamente aggrappati alle
funi che penzolavano lungo il campanile, con la folla angosciata che da sotto
li incitava a tenere duro, a resistere in attesa dei soccorsi. L’episodio verrà
immortalato su un numero della Domenica del Corriere, illustrato dall’ artista De
Gasperi, che fisserà in copertina i terribili e lunghissimi momenti prima
dell’intervento dei pompieri, che dall’interno della torre riusciranno a trarli
in salvo: “Oh mama, henn vegnù giò che
gh’aveven nanca pù el so culur ‘sti pori nan”.
All’epoca della sua adolescenza,
a lato della sua casa in piazza c’era l’Albergo San Pietro, osteria e locanda con stallazzo per i corrieri
a cavallo che transitavano di passaggio con le loro merci, dove attualmente sulla Via XXIV Maggio al
civico 1 c’è una strada privata. Di
fronte al Municipio, c’è sempre stato un Caffè con Sali e Tabacchi. All’epoca
nel cortile del locale la domenica pomeriggio si ballava e, naturalmente, la Jolanda con le sue amiche era sempre là in
prima fila “ma poeu rivava el Don
Fontana, el ciapava perentori tuti i tosann e je mandava al Vesper, guai a
mancà”. Don Fontana alla sua morte sarà sostituito da Don Silvestro
Beneggi.
Passato il periodo della guerra,
Jolanda si fidanza col Paolino Gotti che sposerà in un freddo, umido e
nebbiosissimo giorno di ottobre del 1949, “el
quindes de utuber” sottolinea assorta. Vanno ad abitare in un piccolissimo
locale nel palazzo Pozzobonelli, già adibito a legnaia dalla famiglia Tosi, e
che loro con modica spesa riporteranno a rango di abitazione “ma senza riscaldament, cont quater mobili e
nanca una finestra, ma alura andava ben inscì, serum giuvin” nota
allargando un bel sorriso.
Quattro anno dopo traslocheranno
nella casa di fianco alla chiesa, attuale dimora delle famiglie Petesi,
tornando così all’ombra del campanile. Lì nascerà Ivana, la loro unica figlia,
che sarà l’ultimo nato a Vermezzo battezzato da Don Beneggi.
Ritorna col pensiero a quel
maledetto giorno di agosto del 1954, quando seduta fuori di casa con la piccola
in fasce tra le braccia, vede arrivare davanti alla chiesa una macchina pubblica
nera, da cui scendono tre uomini di cui uno resta accanto al mezzo pulendone i
vetri mentre gli altri due entrano in canonica. A quell’epoca il parroco ha
appena iniziato la costruzione del salone da adibire a cinema per i giovani del
paese (l’attuale Oratorio Don Beneggi), appena dopo le ultime case dell’abitato
in direzione della cascina Tavolera. Lì vicino c’è l’ambulatorio del medico
condotto Dott. Amendola “un sant’omm verament” ed anche il laboratorio dove
il Paolino svolge il suo lavoro. Jolanda
sta aspettando l’ora di apertura dell’ambulatorio e decide di incamminarsi
passando prima dal marito per un saluto. Ha appena svoltato l’angolo della
piazza che sente tre spari ravvicinati. Si ferma, non sa che fare, stringe
forte al petto la bambina, vede il padre sagrestano correre in canonica e poco
dopo uscirne sconvolto. Intanto i due che aveva visto poco prima escono
correndo verso l’auto che riparte veloce. Accorre tanta gente “gh’ann sparà al pret! Hann mazzà el pret!”.
gli attimi sono drammatici ed ancora oggi sono scolpiti nella sua mente in modo
indelebile “g’hann sparà in de la
panscia, gh’era sang in deppertutt”.
Il filo dei suoi pensieri si
riavvolge tornando indietro di qualche anno, quando era in costruzione la cooperativa. Nell’edificio
del comune, al primo piano, era stato messo il bancone di mescita provvisorio,
dove “in del dì g’he capitava denter anca
una quaj dona”.Un giorno infatti lassù c’erano la Ginetta e la Natalina, le
sue due cognate, e c’era anche il
Celeste in vena di festeggiare ed offrire da bere: “beva tì che bevi anca mì”, ride Jolanda, quando le due donne fanno per scendere la
scala che le riporti nel cortile del comune “i
gamb se moeven pù, eren là inciodà” perché i grappini stavano facendo il
loro effetto. Ci provano, ci riprovano ma non muovono un passo. Così, piangendo
come vitellini, chiedono aiuto chiamando a turno le persone che vedevano
passare di sotto, ma senza volerne spiegare il motivo “oh gent! Rideven, piangeven, vuseven: l’era un cinema!”.
L’episodio ebbe una vasta eco in
paese, soprattutto tra le massaie che al lunedì, giorno per tutte dedicato al
bucato, si ritrovavano anche in una trentina inginocchiate sui lavatoi della
roggia Longona, dietro le case della
Ponti Carmine “me piaseva tantu andà a
lavà al foss, ma poeu gh’è rivà i lavatris………”
E con le
lavatrici arriveranno anche le nuove case, gli appartamenti. Tra Vermezzo e
Zelo, alle spalle della cascina dei Santagostino, isolato in mezzo ai campi e oggigiorno
al centro di un intero quartiere, sorgerà alla fine degli anni sessanta un alto e
modernissimo palazzo, “el cinq pian”, dove
molti vermezzesi andranno ad abitare lasciando le loro antiche e ormai scomode
case, non più al passo coi tempi. Anche Jolanda con la famiglia si trasferisce
lì dove vive ancora oggi, lasciando per
sempre l’ombra del campanile e guardando da lontano le campane, sotto le quali
è trascorsa la sua meglio gioventù.